La bellezza disprezzata: l’armonia dell’uniformità
La bellezza, un concetto talvolta ignorato dai progettisti di edifici, è spesso associata all’armonia dell’uniformità e al rispetto dei canoni classici. Tuttavia, nel corso degli anni, la cultura dell’individualismo ha permeato le politiche culturali, generando spesso professionisti desiderosi di lasciare il proprio segno nel tessuto urbano, a discapito dell’anonimato.
Tale tendenza ha portato alla distruzione dell’armonia sensata dei panorami delle città italiane, con la costruzione ad esempio, di grattacieli che rappresentano un simbolo manifesto di potere piuttosto che un’espressione di bellezza architettonica. L’idea di “rompere con gli schemi” è diventata una moda, spesso a discapito della coerenza storica ed estetica dei luoghi. Si sono moltiplicate ferite aperte nel tessuto urbano con la classica, scontatissima motivazione dell’innovazione.
Alcuni di noi ricorderanno con orrore il tentativo di costruire nel centro storico di Albenga due grattacieli monoliti completamente neri. Eppure se ne parlò seriamente per un po’ di tempo con tanto di rendering. Ma non solo. Il disastro viene anche dalla gestione quotidiana, con micro modifiche spesso abbruttenti: il problema è che modifica dopo modifica la città nel suo complesso rischia di diventa brutta.
La coerenza dei canoni estetici degli edifici anche moderni è da molti valutata come una bestemmia: un sacrilegio alla creatività e al diritto individuare di “creare” in autonomia. Manca la modestia.
Paradossalmente, coloro che criticano i territori caratterizzati dall’uniformità e dal rispetto del passato, come la Toscana, le cittadine liguri intatte (es. Portofino, Celle Ligure, Cinque Terre, Varigotti ecc.) o l’Alto Adige, sono spesso gli stessi che abbracciano progetti architettonici ostentatamente innovativi e fuori contesto.
Questo fenomeno è stato compreso da architetti come Leon Kier, che hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della coerenza e della continuità architettonica. Tuttavia, l’innovazione architettonica dovrebbe essere esercitata con cautela e grande rispetto nei luoghi ricchi di storia e cultura, rispettando il loro patrimonio.
Anche Varazze, purtroppo, non è immune da questo fenomeno nel suo piccolo. Nonostante il centro storico cittadino abbia subito danni rilevanti nel dopoguerra, negli ultimi decenni si sono approvati progetti che hanno compromesso ulteriormente il suo tessuto urbano. Ampliamenti e ristrutturazioni poco oculate hanno trasformato alcune aree della città in un caos architettonico.
Nonostante i tentativi di istituire commissioni per la tutela estetica (si ricorda il piano colore dell’assessore Baccino), i risultati sono stati deludenti, e la città si è trovata a subire la legittima ma non sempre giustificata volontà dei privati, senza un adeguato controllo se non sul piano delle norme formali. Il risultato è una città visivamente disorganizzata e trascurata a livello visivo, con gravi ripercussioni sui valori immobiliari e sull’attrattività complessiva.
Nonostante tutto si è dato il via a progetti di ristrutturazione di palazzi semplicemente mostruosi, di una bruttezza straordinaria che avrebbero potuto essere collocati benissimo a Brambate senza colpo ferire. Mentre si vigilava sul colore dei portoni del centro storico, si sono permessi autentici omicidi di palazzi del centro storico di metà dell’800, dando via libera definitivamente all’orrido e spesso allo scempio estetico.
Ampliamenti anche opportuni ma che spesso non hanno tenuto conto della decenza sotto forma di coerenza territoriale, rendendo i palazzi e le costruzioni spesso di alcune frazioni nulla meno di un’allegra arlecchinata con un edificio totalmente differente dall’altro.
Il paesaggio nel suo complesso ne ha pagato anno dopo anno il conto e Varazze al di là dei luoghi sempre belli si è trasformata in una città dal punto di vista costruttivo oggettivamente brutta e disordinata.
E’ stato dato il via a un porto che è notoriamente un progetto per baite di montagna recuperato, ed è stato approvato un orrendo complesso a righe come i pigiami dei carcerati nell’ex cotonificio cercando forse di ricordare grottescamente le chiese liguri del XIV secolo. Si è dato il via a garage come quello della Mola che paiono bunker atomici totalmente fuori contesto. Si potrebbe continuare per molto.
Un danno immediato non solo per l’insieme urbanistico della città ma alla lunga per i valori immobiliari dei singoli proprietari perché collocati in un contesto meno bello e piacevole.
Molti non concordano perché vedono nell’innovazione e nella modernità il bello a prescindere da dove si realizza.
In conclusione, la bellezza architettonica è un bene prezioso che va tutelato e valorizzato, spesso sacrificato sull’altare della modernità tutti i costi e tutto ciò ha un costo alla lunga anche economico con lo scadimento estetico di un luogo-città.
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